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10/04/2020 12:44

Re:
FRANCESCA.TRETTO, 10/04/2020 09:04:

Quindi io posso presentare in allegato alla domanda di concorso una dichiarazione in autotutela in base alla L 241/90 in cui dichiaro l'equipollenza del mio titolo di studio con quelli richiesti dal bando? Nel caso di confronto con L14 e L16 è fattibile?



Non proprio.
Se la laurea è equipollente puoi presentare direttamente la domanda dichiarando gli estremi dell’equipollenza.
Se in qualche modo il bando ti esclude, puoi presentare una istanza di rettifica in autotutela dello stesso ai sensi della legge 241/1990, esponendo motivazioni di diritto e sostanziali (l’istanza è in forma libera).

Le lauree della classe L-16 sono equipollenti alle lauree in Scienze politiche e in Giurisprudenza. Recita infatti il decreto interministeriale 20 maggio 1991, pubblicato in Guri 30/1992:
« La laurea in scienze dell’amministrazione conferita dalle
università statali e da quelle non statali riconosciute per
rilasciare titoli aventi valore legale è equipollente alla laurea in
giurisprudenza ed alla laurea in scienze politiche ai fini
dell’ammissione ai pubblici concorsi per l’accesso alle qualifiche
funzionali del pubblico impiego per le quali ne è prescritto il
possesso.
»
Il decreto non specifica l’ordinamento della laurea. Parla semplicemente di laurea. Oltretutto parla di laurea, non di diploma di laurea, come si dovrebbe chiamare la laurea del previgente ordinamento (in contrapposizione al diploma universitario) in base alla legge 341/1990 (N.B.: per previgente ordinamento si intende pacificamente l’ordinamento antecedente all’entrata in vigore del primo regolamento di attuazione dell’art. 17, c. 95, della legge 127/1997, cioè il decreto MURST 509/1999, che ha recepito il c.d. processo di Bologna).

Ora, è vero che sul sito del Miur (oggi suddiviso in Ministero dell’istruzione e Ministero dell’università e della ricerca) il decreto di cui sopra è nella tabella intitolata “Equipollenze tra titoli del vecchio ordinamento”, ma il sito del Miur non è mica una fonte del diritto. E non è neanche fonte di prassi o di interpretazione è autorevole: non gli può essere attribuito alcun valore se non quello meramente (dis)informativo, posto che ad avere valore di pubblicità delle fonti del diritto basta e avanza la Gazzetta ufficiale.

Al concorso relativo al posto che occupo attualmente partecipai con una laurea della allora classe 14 (Scienze della comunicazione), corrispondente all'attuale L-20 (sono reciprocamente equiparate ex D.I. 9 luglio 2009); il bando diceva «laurea di vecchio ordinamento in Scienze politiche, Giurisprudenza o Economia e commercio oppure corrispondenti lauree (L) del nuovo ordinamento». Ricevetti comunicazione di esclusione che mi fu anticipata in via informale tramite e-mail; telefonai subito, prima che la protocollassero, e mi misi d'accordo con quella che oggi è una mia collega per mandarle una relazione a stretto giro affinché potesse fare un supplemento di istruttoria e non emanare il provvedimento di esclusione.
Nella relazione relazione indicai le seguenti ragioni di diritto:
1. equivalenza, equiparazione, equipollenza e assimilazione sono quattro concetti differenti (che spiegai).
2. il decreto MURST 509/1999 all'articolo 4, comma 3 (riprodotti identicamente nel decreto MIUR 270/2004), stabilisce che i titoli afferenti alla medesima classe hanno identico valore legale, pertanto la mia laurea, pur chiamandosi «Media e giornalismo», è da considerare a tutti gli effetti equivalente (e non semplicemente equiparata o equipollente) a una laurea in Scienze della comunicazione, in quanto essa stessa è una laurea in Scienze della comunicazione.
3. il decreto interministeriale 21 dicembre 1998 stabilisce inequivocabilmente che qualsiasi laurea in Scienze della comunicazione è equipollente a qualsiasi laurea in Sociologia e a qualsiasi laurea in Scienze politiche ai fini della partecipazione a concorsi pubblici.
Indicai altresì le seguenti ragioni di fatto:
4. il bando richiedeva una laurea corrispondente a quelle vecchie in Scienze politiche, Giurisprudenza o Economia e commercio. Non esistendo tecnicamente alcuna corrispondenza, tale corrispondenza era da ricercarsi nelle scelte che furono compiute per la transizione dal vecchio al nuovo ordinamento. A questo proposito feci presente che struttura che mi aveva rilasciato la laurea era la scuola, ex facoltà, di Scienze politiche “Cesare Alfieri” dell'Università degli studi di Firenze. Essa aveva nel vecchio ordinamento due corsi di laurea, Scienze politiche e Scienze dell'amministrazione, e due corsi di diploma universitario, Servizio sociale e Relazioni industriali. Il corso di laurea in Scienze politiche era suddiviso nei cinque indirizzi politico-internazionale, storico-politico, politico-sociale, politico-ammistrativo e politico-economico: l'indirizzo politico-internazionale fu trasformato nel corso di laurea autonomo in Studi internazionali; l'indirizzo politico-amministrativo confluì insieme con il corso di laurea in Scienze dell'amministrazione nel nuovo corso di laurea in Scienze di governo e dell'amministrazione (dell'allora classe 38, corrispondente all'attuale L-16); l'indirizzo politico-sociale fu trasformato, in collaborazione con la facoltà di Scienze della formazione, proprio nell'autonomo corso di laurea in Media e giornalismo, successivamente inttiolato ad Adriano Olivetti (cui fu rilasciata una laurea honoris causā alla memoria); furono infine proposti due nuovi corsi, Scienze sociali (poi trasformato in Sociologia) e Operatori di pace: gestione e mediazione dei conflitti (interfacoltà con Scienze della formazione), mentre i due corsi di diploma universitare furono trasformati rispettivamente nei corsi di laurea in Servizio sociale e in Relazioni industriali e gestione delle risorse umane (successivamente ribattezzato Relazioni industriali e sviluppo delle risorse umane). Tutto ciò che rimaneva fuori da questi nuovi corsi rimase il residuo del corso di laurea in Scienze politiche, che con il nuovo ordinamento passò da 4 a 3 anni. Per questo motivo Media e giornalismo era da considerarsi un erede del corso di laurea in Scienze politiche. Tanto più che successivamente la facoltà di Scienze della formazione aveva interrotto la collaborazione con la facoltà di Scienze politiche, la quale aveva effettuato una revisione del piano di studi per renderlo ancora più simile a Scienze politiche.
5. in aggiunta a quanto sopra, confrontavo il mio piano di studi con quello del vecchio indirizzo politico-sociale del corso di laurea in Scienze politiche, con il quale avevo la quasi totalità degli esami in comune, e con quello di un altro corso di laurea della classe Scienze della comunicazione attivo in ateneo (Comunicazione linguistica e multimediale presso la facoltà di Lettere e filosofia, oggi scuola di Studi umanistici e della formazione), con il quale avevo un unico esame obbligatorio in comune e peraltro con denominazione leggermente dissimile e diverso peso in crediti. Nella denegata ipotesi della mancata condivisione delle ragioni di diritto tali per cui qualsiasi laurea in Scienze della comunicazione è equipollente alla laurea in Scienze politiche, appariva peraltro illogico nella fattispecie considerare il mio percorso di studi come affine a Scienze della comunicazione e non a Scienze politiche, tanto più che mi ero iscritto a Scienze politiche per conseguirla come seconda laurea e mi avevano convalidato tutti gli esami tranne due (successivamente mi sarei trasferito presso altro ateneo, dove ho conseguito la laurea in Scienze dell'amministrazione con un esame e un'integrazione).
6. a riprova di quanto già detto, allegavo il piano di studi del corso di laurea in Scienze politiche per il giornalismo della facoltà di Scienze politiche dell'Università degli studi di Messina: piano di studi pressoché identico a quello di Media e giornalismo, ma classe 15 (corrispondente all'attuale L-36). Il corso di laurea in Media e giornalismo della facoltà di Scienze politiche dell'Università di Firenze, del resto, era stato soppresso e declassato, con l'ordinamento di cui al decreto MIUR 270/2004, a curriculum, denominato “Comunicazione, media e giornalismo”, del nuovo corso di laurea in Scienze politiche, che unificava 6 corsi di laurea della facoltà su 8, riunendoli tutti sotto un'unica classe. Se avessi optato per il nuovo piano di studi, avrei dovuto cambiare classe! E avevo scelto di non farlo proprio per mantenere la possibilità di partecipare ai concorsi per le funzioni di cui alla legge 150/2000 e relativo regolamento di attuazione (DPR 445/2000).
7. un parere del Consiglio universitario nazionale allegato condivideva il punto di vista di cui al precedente punto 5, ritenendo che la laurea in Media e giornalismo rilasciata dall'Università di Firenze va considerata equipollente alla laurea in Scienze politiche ai fini dell'accesso al praticantato professionale e all'esame di Stato per l'abilitazione alla professione di consulente del lavoro.
Dopo non molto tempo mi pervenne altra mail in cui mi veniva comunicato che, all'esito dell'istruttoria compiuta, viste le mie ragioni, si riteneva di NON emanare il provvedimento di esclusione e pertanto venivo ammesso a partecipare al concorso senza riserva. Al concorso arrivai terzo, ex æquo con il secondo e il quarto (ordinamento per minore età), e tuttora sono occupato in quell'ente; il lavoro non mi piace, ma questa è un'altra storia.

In altre circostanze ho presentato istanze di rettifica in autotutela del bando, domande di partecipazione in deroga ai requisiti del bando, richieste di annullamento in autotutela dei provvedimenti di esclusione; in verità le mie ragioni, probabilmente perché ben argomentate, sono sempre state accolte senza riserva o condizione salvo che in un caso, in cui un comune ha continuato a resistere sino a che non mi sono stancato io (difficile che accada, ma ho beccato dall'altra parte un osso duro di segretario generale che ha adottato la politica dello stancamento). Tale comune comunque non opponeva motivazioni di diritto contrarie alle mie obiezioni, ma usava perifrasi o scuse per non entrare nel merito della questione; alla fine ha concluso, citando un po' di giurisprudenza anche a caso (alcuni estremi, da me opportunamente e attentamente verificate, erano inconferenti, tra sentenze che non c'entravano niente e pronunziamenti di segno contrario, da cui si traggono massime a sostegno della mia tesi), che il bando costituisce lex specialis della procedura e pertanto la commissione non può che attenersi ad esso anche se contra legem. Rispetto a ciò ho prontamente eccepito, ammesso e non concesso che sia così (la giurisprudenza al riguardo è tutt'altro che unanime e peraltro il fatto che il bando costituisce lex specialis della procedura significa solamente che se non è stato impugnato a monte la commissione si deve attenere ad esso e solo ad esso senza entrare nel merito della sua legittimità sulla base delle fonti del diritto e della loro gerarchia, non che esso stesso – sarebbe il colmo – è una fonte del diritto preordinata a tutte le altre, cosa peraltro neanche vera visto che ad esempio c'è fior di giurisprudenza che afferma che eventuali clausole del tipo «è escluso ogni titolo equipollente» sono nulle rispetto ai titoli equipollenti per legge o regolamento ministeriale), che: a) la fase istruttoria, secondo costante giurisprudenza (tra cui alcune sentenze che la controparte stessa mi aveva citato!) spetta all'ente banditore e non alla commissione, interna, esterna o mista che sia; b) se pure la fase istruttoria delle domande spettasse alla commissione, la mia domanda era indirizzata all'ente banditore quando la cocmmissione non solo non si era riunita ma ancora doveva essere anche solo nominata, con lo scopo di fare riformare il bando all'origine nella parte ritenuta illegittima, la cui illegittimità era peraltro stata indirettamente riconosciuta dall'Ente nel momento in cui, a domanda volta a sanarla, è stato risposto in sostanza che, anche se è illegittima, resta il fatto che la commissione si atterrà ad essa (tant'è che ho pensato di denunciare il segretario generale per omissione di atti d'ufficio, ex art. 328 cod. pen., poiché, pur essendo tenuto ad applicare la legge e nella consapevolezza di doverlo fare, ha scelto deliberatamente e inopinatamente di lasciare le cose come stanno). Nella fattispecie si trattava di bando indetto da un comune di seconda classe, provvisto di dirigenza ma con i posti della dirigenza quasi tutti vacanti (ragion per cui il segretario generale svolgeva le funzioni di dirigente del settore competente al reclutamento), il quale, in violazione del CCNL (il quale parla di laurea breve) e del d.lgs. 165/2001 (il quale non era ancora stato riformato dai decreti attuativi della c.d. riforma Madìa e prevedeva laurea per l'accesso alle posizioni funzionali apicali del comparto e laurea seguìta da laurea specialistica, diploma di specializzazione, dottorato di ricerca o titolo post-universitario riconosciuto allo specifico fine per l'accesso alla dirigenza), richieva laurea magistrale o diploma di laurea del vecchio ordinamento per l'accesso a un posto di categoria D.

Anni fa a un concorso della commissione Ripam presso il FormezPA, per conto di un comune, una mia parente con la domanda presentata da me fu ammessa senza riserve, mentre un'altra persona che aveva conseguito lo stesso titolo conseguito presso lo stesso ateneo fu esclusa. Qui la questione era ancora più banale: nel bando c'era scritto «laurea della classe 18, classe delle lauree in Scienze dell'educazione e della formazione» (equiparata all'attuale classe L-19, omonima, ai sensi e per gli effetti del D.I. 9 luglio 2009). La mia parente aveva scritto giustappunto di possedere tale laurea. La sua amica nella domanda anziché scrivere «laurea» scrisse «laurea triennale». L'esclusione fu motivata da un equivoco: l'ente – incredibile a dirsi – era totalmente all'oscuro della riforma universitaria e dunque riteneva che, ai sensi della legge 341/1990, si potesse definire «laurea» (in realtà diploma di laurea) unicamente il titolo rilasciato al termine di corsi di durata almeno quadriennale, mentre all'esito di corsi di durata biennale o triennale veniva rilasciato il diploma universitario. Tant'è vero che minacciarono di presentare denunce penali contro chi aveva millantato il possesso di una laurea triennale in quanto secondo loro era una dichiarazione mendace in quanto la laurea triennale non esiste. Il bello è che tecnicamente avevano ragione: la laurea triennale non esiste; si chiama laurea e basta e infatti la domanda della mia parente era stata regolarmente accolta (e se hanno fatto la verifica della dichiarazione sostitutiva di certificazione l'università avrà confermato che trattavasi di una laurea). Ciò su cui avevano torto era la durata del corso. Tra l'altro con il previgente ordinamento le classi non esistevano e dunque avevano fatto una confusione pazzesca. Infatti nella mia successiva lettera spiegai loro che una laurea di classe 18 poteva essere conseguita all'esito di un corso di laurea per forza di durata normale (e non legale, che significa un'altra cosa) di tre anni, poiché i corsi di laurea specialistica (all'epoca la laurea specialistica non era ancora stata sostituita dalla laurea magistrale) duravano due anni e i corsi di laurea in Scienze dell'educazione (e non «Scienze dell'educazione e della formazione») del previgente ordinamento, che avevano durata legale (e non normale) di quattro anni, non avevano la classe.
Poi ci domandiamo perché a ogni concorso pubblico piovono ricorsi a valanga. Io preferisco evitare i ricorsi giurisdizionali, principalmente per una questione di costi. Se riesco a risolvere inducendoli ad avvalersi del formidabile strumento dell'autotutela amministrativa bene, altrimenti passo oltre.


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