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Quei 60 studenti morti dal 2005 vittime delle confraternite

Ultimo Aggiornamento: 18/11/2014 16:32
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18/11/2014 16:32

Polemiche dopo la morte Nolan Burch, 18 anni, matricola all’Università della West Virginia, durante una cerimonia d’iniziazione

Intossicato dall’alcol ingurgitato con un imbuto, durante la cerimonia d’iniziazione alla confraternita in cui aveva tanto sognato d’entrare. È morto così Nolan Burch, 18 anni, matricola all’Università della West Virginia, negli Stati Uniti. Venerdì scorso il suo cuore si è fermato, dopo un’inutile corsa in ospedale. E ora, dopo la tragedia, il suo ultimo sms suona perlomeno sinistro («sarà una notte da ricordare») e contribuisce a riaccendere la polemica sull’opportunità di vietare questi club.

Le altre vittime
I dati parlano chiaro: dal 2005 ad oggi gli studenti morti per hazing (letteralmente nonnismo) - prove di coraggio e incidenti legati alle confraternite giovanili - sono oltre 60. Quella che uccide di più, secondo dati racconti da Bloomberg, è la Sigma Alpha Epsilon (Sae), una delle più grandi e le più conosciute del Paese, con sedi in oltre 240 campus americani e canadesi e circa 14 mila membri: 9 persone sono morte dal 2006 nel tentativo di entrare a farne parte. «Ai nuovi adepti - ha rivelato qualche tempo fa un ex confratello, intervistato dalla rivista Rolling Stone - «era intimato di nuotare in una piscinetta per bambini piena di vomito, urina, sostanze fecali, sperma e frutta marcia, mangiare frittate di vomito e ingollare tazze di aceto». Abusi fisici e psicologici. Pratiche che qualche anno fa erano state al centro di Animal House, il film di John Landis con John Belushi, che raccontava iniziazioni, sbornie e malefatte dei membri di una «fraternity» immaginaria, la Delta Tau Chi.

Vittime
Tre quarti delle morti sono dovute alle quantità di alcol che i ragazzi sono costretti a bere. Nel 2006 il giovane Tyler Cross, ubriaco, morì cadendo dal balcone dell’università del Texas. Patrick Drown, studente dell’Università della California, fece la stessa fine, investito da un auto dopo un evento della Sae. Armando Villa, 19 anni, studente dell’Università della California, morì lo scorso luglio per un colpo di calore nel Big Tujunga Canyon. I compagni della Pi Kappa Phi l’avevano lasciato lì «bendato, senza cellulare né scarpe». Qualcuno invece ce l’ha fatta. Come la giovane Britteny Starling, studentessa della Università di Berkley. Le sue «sorelle» la costrinsero a passare una notte intera in piedi, nuda, nella stessa posizione, senza nemmeno potere andare in bagno. Si salvò. E finita la prova denunciò le sue compagne.

Attività sospese
Dopo la morte di Michael Burch, l’Università della West Virginia University ha sospeso tutte le attività legate alle confraternite maschili e alle associazioni studentesche femminili. Non è la prima volta. Ogni volta che un ragazzo o una ragazza muoiono, dentro e fuori dai campus si riaccende la polemica. E poi: veglie in ricordo dei defunti e promesse di dire basta a questi club. Il Williams College, negli Anni Sessanta, è stato il primo a dire basta. Lo scorso settembre è stata la volta dell’Università di Clemson, nella Carolina del Sud: una decisione presa dopo la morte di uno dei suoi studenti.

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