Oggi ne ho parlato a un paio di studenti che hanno reagito abbastanza negativamente alla notizia, anche perché secondo molti ci sono fin troppe classifiche che dicono tutto e il contrario di tutto.
Wè ragazzi... i dati sono questi! Guardarli e zutti!
Ecco un altro articolo più esplicativo:
Le grandi università statunitensi stanno perdendo colpi, incalzate dall'avanzata degli atenei asiatici ed europei che stanno dando vita a nuovi epicentri della ricerca e dell'apprendimento. Lo rivela la nuova classifica del Times sui migliori atenei del mondo.
Una graduatoria che, purtroppo, vede l'Italia ancora ai margini, con una sola università, l'Alma Mater di Bologna, tra le prime 200 in classifica al 174esimo posto, mentre La Sapienza di Roma resta al 205esimo posto come lo scorso anno. Se l'Alma Mater ha accolto con una certa soddisfazione il 174mo posto - rispetto all'anno scorso ha scalato 18 posizioni, grazie anche - ha spiegato il rettore Pier Ugo Calzolari - all'incremento della quota di studenti e accademici stranieri (rispettivamente +14% e +16%) e al miglioramento delle performance in alcune aree disciplinari, tra cui spiccano scienze naturali, scienze sociali e discipline umanistiche - con ben altro spirito ha accolto il piazzamento il ministero dell'Istruzione.
"La classifica del Times - ha osservato il ministro Gelmini - conferma clamorosamente che il sistema universitario italiano va rivisto con urgenza. Presenteremo a novembre la riforma, con l'obiettivo di promuovere la qualità, premiare il merito, abolire gli sprechi e le rendite di posizione". "E mi auguro - ha aggiunto il ministro - di non dover più vedere in futuro la prima università italiana al 174mo posto". Eppure di potenzialità i nostri atenei ne hanno. Ne è convinto il presidente della Conferenza dei rettori, Enrico Decleva, che invita però a non disperderle. Fa pure notare come la classifica del Times, comunque, penalizzi particolarmente i nostri atenei perché tra gli indicatori utilizzati non prevalgono quelli riferiti alla produzione scientifica, per la quale le performances italiane non sono niente male. Ad ogni modo al primo posto della classifica annuale del Times Higher Education (THE, una pubblicazione del Times) resta anche quest'anno Harvard, seguita però al secondo posto da Cambridge, che ha relegato questa volta Yale al terzo posto.
L'erosione degli atenei statunitensi in favore di quelli britannici continua con l'ascesa dell'University College London dal settimo al quarto posto e dell'Imperial College di Londra dal sesto al quinto. Cala invece di una postazione Oxford, che lo scorso anno era quarta in classifica e si trova ora al quinto posto a pari merito con l'Imperial College. Un'occhiata alle prime 100 rivela inoltre che il numero di atenei nordamericani in classifica è sceso da 42 a 39, mentre le università europee sono salite da 36 e 39 e le asiatiche da 14 a 16. La classifica del THE è stata stilata seguendo sei parametri principali: il giudizio degli accademici, le citazioni che i ricercatori ricevono nelle pubblicazioni accademiche, l'opinione delle aziende, il rapporto numerico tra professori e studenti, il calcolo delle presenze straniere ed il grado di internazionalizzazione.
La classifica differenzia anche tra i diversi indirizzi e specialità. In questa sezione, l'Europa - e anche l'Italia - riporta i risultati migliori. Al primo posto per le scienze sociali è infatti la London School of Economics, mentre per l'ingegneria è l'Ecole Normale superieure di Parigi. La Sapienza di Roma si è guadagnata il 25esimo posto in classifica tra le facoltà di scienze naturali, il Politecnico di Milano il 57esimo per ingegneria, la Bocconi il 68esimo tra quelle di economia e l'Alma Mater il 51esimo tra le facoltà di lettere e arte e il 72esimo tra quelle di scienze economiche e sociali. Una menzione particolare nel rapporto del THE la meritano infine Giappone, Hong Kong, Corea del Sud e Malesia: le università di questi Paesi continuano infatti a guadagnare punti e, secondo Philip Altbach, direttore del Centre for Higher Education del Boston College, non si tratta soltanto di maggiori investimenti, ma anche di visibilità a livello internazionale.
Afferma Altbach: "Hanno internazionalizzato le loro università ingaggiando parte del loro corpo insegnante all'estero e questo serve ad aumentare la loro visibilità. Hanno anche sottolineato l'importanza di pubblicare le loro ricerche su riviste internazionali, aumentando anche in questo senso la loro visibilità". Una dimensione, quella internazionale, in cui gli atenei italiani restano ancora molto indietro: in Italia solo il 2% ed il 4% degli studenti e dei ricercatori rispettivamente proviene da un altro Paese.
ANSA