00 26/10/2019 16:21
Parto dalla mia esperienza di giornalista: per diventare professionista di fatto gli anni di pratica sono stati 5, e sono stati anche pochi rispetto alla media. Difficilmente le aziende assumono giornalisti (dipendenti) direttamente come praticanti. Più spesso, come nel mio caso, uno collabora con la testata da co.co.co ed è l'Ordine che riconosce il praticantato d'ufficio ex post, con l'attestazione da parte dell'azienda dell'attività svolta. Questo avviene quando, di fatto, fai il corrispondente a tempo pieno (molti articoli al giorno), non se scrivi qualche articolo al mese. Con una pratica di questo genere (che spazia spesso dalla cronaca bianca, alla sportiva, alla nera, alla giudiziaria, alla politica ecc.) sei un giornalista a tutti gli effetti, l'esame di abilitazione c'è (scritto più orale, e ultimamente è diventato anche più selettivo) ma potrebbe anche non esserci, perché ci arrivi dopo aver scritto migliaia di articoli. Ora, uno non è un bravo giornalista se gli hanno già pubblicato 7000 articoli ma il giorno dell'orale va male perché la notte ha avuto una gastrite, o gli è morto il gatto, o ha avuto troppi articoli da scrivere per studiare come si deve? Ecco, a me sembrerebbe una contraddizione. E lo stesso ragionamento, per me, potrebbe valere per gli avvocati. Se durante la pratica, invece di fare fotocopie, fare i corrieri e fare gli spettatori d'udienza, fossero messi in condizione di fare davvero gli avvocati (sia pure controllati, istruiti, limitati...) forse un esame ultraselettivo non avrebbe più senso.