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Si era negata per sette anni al partner, che si era rassegnato a dormire in una stanza separata. Ora la Cassazione (sentenza 19112/12) le ha attribuito la colpa della separazione. Una signora fiorentina, dopo la nascita della figlia, si era rifutata di avere rapporti sessuali con il marito, trascurando anche la pulizia della casa. Secondo la Suprema Corte «il persistente rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge - poiché, provocando oggettivamente frustrazione e disagio e, non di rado, irreversibili danni sul piano dell'equilibrio psicofisico, costituisce gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner - configura e integra violazione dell'inderogabile dovere di assistenza morale sancito dall'art. 143 c.c., che ricomprende tutti gli aspetti di sostegno nei quali si estrinseca il concetto di comunione coniugale». Il Tribunale di Firenze, invece, aveva dichiarato la separazione personale dei coniugi sulla base del fatto che la «"sedatio concupiscentiae" non era l'unico esclusivo fine del matrimonio». La Cassazione ha bocciato il ricorso della moglie che si opponeva all'adebito della separazione e ha evidenziato che l'assenza di sesso nella coppia «non può in alcun modo essere giustificata come reazione o ritorsione nei confronti del partner e legittima pienamente l'addebitamento della separazione, in quanto rende impossibile al coniuge il soddisfacimento delle proprie esigenze affettive e sessuali e impedisce l'esplicarsi della comunione di vita nel suo profondo significato».

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