Volo Rio-Parigi, trovati nuovi resti «Corpi nel troncone della fusoliera»

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alevalery
00lunedì 4 aprile 2011 21:45
«Una grande parte dell'aereo di Air France» che si inabissò al largo del Brasile il primo giugno 2009, e alcuni cadaveri delle 228 vittime, sono stati trovati. A confermarlo è il ministro dei Trasporti francese, Nathalie Kosciusko-Morizet, spiegando anche che le operazioni di recupero potrebbero cominciare fra «tre settimane o un mese». Quella localizzata «è una parte importante dell'aereo, in un solo blocco», ha detto la Kosciusko-Morizet ai microfoni di France Inter, aggiungendo che ci sono «speranze di localizzare in breve tempo le scatole nere». A breve potrebbero essere diffuse anche le prime foto sottomarine del relitto del velivolo. Le ricerche condotte in questi ultimi due anni hanno finalmente dato esito positivo e la commissione di inchiesta ha riferito che sono stati individuati anche i corpi di alcuni passeggeri.

NON SI È DISINTEGRATO - Al quarto e ultimo dei tentativi esperiti, è stato individuato un grosso troncone della fusoliera, all'interno del quale sarebbero visibili alcuni cadaveri. «L'aereo - ha spiegato Nathalie Kosciusko-Morizet - non si è del tutto disintegrato. È stato ritrovato un grande pezzo della fusoliera, con dei corpi all'interno che potrebbero essere identificati». Il capo della commissione d'inchiesta (Bea), Jean-Paul Troadec, ha detto che gli inquirenti sperano adesso di poter ritrovare le scatole nere dell'aeromobile. «La buona notizia è che l'area dei detriti è relativamente concentrata e questo ci fa sperare di ritrovare le scatole nere», ma i tecnici della società di ricerca hanno espresso qualche perplessità. Difficile che siano rimasti attaccati alla fusoliera dopo quasi due anni su un fondo sabbioso a circa 3.900 metri dalla superficie. Troadec ha aggiunto che tra gli elementi ritrovati ci sono i motori e parte delle ali. Le ultime e fruttuose ricerche del velivolo sono state avviate lo scorso 25 marzo, con il contributo della Alucia, un battello da esplorazione oceanografica statunitense, e si sono concentrate nella zona da dove l'aereo aveva fatto rilevare gli ultimi segnali prima di scomparire dai radar. Il fatto che l'area dei detriti è molto compatta lascia presumere che il velivolo non sia esploso in volo ma sia precipitato in mare tutto intero. La causa ufficiale del disastro, nel quale hanno perso la vita 228 persone, resta incerta, anche se, ufficiosamente, è stata avanzata l'ipotesi di un malfunzionamento del sensore di velocità montato da Airbus. Il consorzio europeo e la stessa Air France sono sotto inchiesta al tribunale di Parigi per disastro colposo.

IN MEZZO ALL'OCEANO - Quando precipitò, l'Airbus A330 stava effettuando il volo AF447 fra Rio de Janeiro e Parigi. Gli inquirenti ora cercano soprattutto le scatole nere con la registrazione dei parametri di volo e le conversazioni dei piloti, le uniche tracce che possono spiegare con certezza le circostanze della catastrofe. Il Bea, l'agenzia francese di investigazione sull'incidente, aveva lanciato il 25 marzo scorso una nuova fase di ricerche del relitto scomparso in mezzo all'Atlantico, dopo tre operazioni concluse senza alcun risultato, due nel 2009 e una nel 2010.


LE RICERCHE - I rottami dell'aereo dell'Air France precipitato nell'Atlantico nel 2009 sono stati trovati a una profondità tra i 3.800 e i quattromila metri. Il primo giugno 2009 il volo 447 si schiantò mentre viaggiava da Rio de Janeiro a Parigi, ma il motivo non è mai stato chiarito. Tutti i 228 passeggeri a bordo morirono. Airbus e Air France finanzieranno nuove ricerche con una cifra stimata di 12,5 milioni di dollari e 28 milioni già spesi. Il team coinvolto nella scoperta di questo fine settimana è stato condotto dal Woods Hole Oceanographic Institution (Whoi), con sede a Cape Cod, in Massachusetts. Le operazioni coprono un'area di circa diecimila chilometri quadrati, a una notevole distanza al largo della costa nordorientale del Brasile. Sono utilizzati fino a tre veicoli di ricerca subacquea, ognuno dei quali può rimanere sott'acqua per un massimo di 20 ore mentre utilizza sonar per esaminare la zona montagnosa della dorsale medio-oceanica. I ricercatori scaricano i dati e se hanno prova di rottami inviano un veicolo con una macchina fotografica ad alta risoluzione per controllare la zona.

Redazione online

Fonte: corriere.it
Davide
00lunedì 4 aprile 2011 21:51
Una fine tremenda. [SM=g2481217]
alevalery
00lunedì 4 aprile 2011 21:52
Proprio ieri leggevo un articolo su Focus, sul sito ho trovato solo un riassunto però, in cui non si parla dei danni riportati dal satellite per l'incontro-scontro con l'antimateria...

Nuvole atomiche

immaginate un pianeta sul quale i temporali producono fasci di antimateria, la sostanza speculare, con cariche opposte, della materia. L’antimateria è una sostanza straordinaria, capace di trasformarsi al 100% in energia e propellere le astronavi del futuro, come già si immaginava nei telefilm della serie Star Trek.
Se gli astronomi trovassero un pianeta del genere, sarebbe già una scoperta straordinaria. Ma se poi venisse fuori che quel pianeta è la Terra... ci sarebbe da non crederci! Eppure è così. Lo ha dimostrato un satellite artificiale, che il 14 dicembre 2009 è stato investito da un fascio di antimateria generato da un temporale a 5 mila km di distanza (vedi disegno sotto). Com’è stato possibile? Per capirlo bene, è necessaria una lunga premessa.

Già da diversi anni, gli scienziati sanno che alcuni temporali, soprattutto nelle regioni tropicali, possono produrre lampi di radiazioni energetiche come quelle generate dalle bombe atomiche: i raggi gamma. Queste radiazioni sono le più penetranti in assoluto, ben più dei raggi X che si usano per le radiografie. E sono emesse dai corpi celesti più estremi, come i buchi neri.

Infatti, i lampi gamma terrestri generati dai temporali sono stati scoperti per caso, negli anni ’90, proprio dai satelliti artificiali che scrutavano la volta celeste a caccia di buchi neri divoratori di materia e altri fenomeni cosmici altrettanto violenti.

All’inizio nessuno si aspettava che nella nostra atmosfera si verificassero fenomeni così estremi, e da allora molti scienziati e vari satelliti - tra cui l’italiano Agile - si sono dedicati alla ricerca.

Alcuni sì, altri no
Pare che questo affascinante fenomeno fisico, che per molti aspetti resta ancora misterioso, cominci con un flusso di elettroni accelerati verso l’alto dai campi elettrici del temporale, fino a raggiungere velocità prossime a quella della luce nel vuoto. Questi elettroni iperveloci, scontrandosi con gli atomi dell’atmosfera, liberano energia e producono raggi gamma.
Restano, comunque, ancora molti aspetti da chiarire: «I lampi gamma terrestri sono prodotti da temporali di tutte le forme e dimensioni» spiega Joseph Dwyer docente di fisica negli Usa «ma ancora non sappiamo perché alcuni temporali producono lampi gamma e altri no».

Uguali e opposti
Qualunque sia la loro origine, pare che tutti i lampi gamma terrestri producano antimateria. I raggi gamma, infatti, sono pacchetti molto concentrati di energia. E, quando urtano un atomo, possono materializzarsi in due particelle uguali e opposte: un elettrone e un positrone (o antielettrone). Un positrone è come un elettrone allo specchio: stessa massa e carica elettrica di segno opposto (l’elettrone ha carica negativa, il positrone positiva). Elettroni e positroni, se fossero sempre separati, vivrebbero ciascuno di vita propria, all’infinito... ma, se si incontrano, si disintegrano all’istante, liberando energia: in pratica, svaniscono e al posto loro restano i raggi gamma. Un “miracolo” reso possibile dalla celebre formula di Einstein E=mc2, in base alla quale l’energia (i raggi gamma) si può trasformare in materia (particelle e antiparticelle) e viceversa.

Particelle con la bussola
Anche i raggi gamma che si formano durante i temporali, scontrandosi con gli atomi dell’atmosfera, producono coppie di elettroni e antielettroni. Così creano una nuvoletta di materia, e una uguale e opposta di antimateria. Queste particelle e antiparticelle, però, non stanno ferme dove sono, ma - come se dovessero seguire una bussola - sono indirizzate dal campo magnetico terrestre verso il Polo Sud o il Polo Nord, a seconda della loro carica elettrica e della loro velocità.
Fatte queste premesse, possiamo finalmente ricostruire fase per fase quanto è successo il 14 dicembre 2009, quando è stato registrato il primo flusso di antimateria generato da un temporale.

Fonte
Davide
00lunedì 4 aprile 2011 21:56
La cosa "bella" è che ricordo distintamente che si parla di antimateria da circa 20 anni.
Se dopo 20 anni parlano ancora della sua esistenza e basta... mi sa che alla comunità scientifica interessa solo ideare nuove medicine (e magari nuove malattie).
Scusate se generalizzo. [SM=g1944682]
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