Quel mondo senza maschi che speriamo di non vedere mai

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Davide
00giovedì 22 aprile 2010 11:40
Esiste in natura un batterio che ha fatto della sua esistenza una grande crociata contro il genere maschile. Si tratta della “wolbachia”, un potentissimo microrganismo che mette in atto una vera e propria “pulizia sessuale” in circa un quinto di tutte le specie di insetti presenti sulla Terra. Questo microbo, infatti, attacca i maschi di alcune categorie di esseri viventi e li trasforma in femmine, oppure li soffoca fino alla morte o riesce persino a prevenirne la nascita nelle future generazioni. La “wolbachia” è solo uno dei tanti esempi bizzarri della natura. Ma se questo terrorista miscroscopico dovesse moltiplicarsi nel mondo animale o se, nel mondo umano, finisse nelle mani sbagliate il risultato sarebbe lo stesso: la completa estinzione del genere maschile.

Nonostante il concetto di “gendercide” venga di solito ricollegato alle uccisioni di donne e bambine, fin dai tempi antichi anche gli uomini sono stati spesso vittime di omicidi selettivi di massa. Basti pensare che una delle più note stragi del genere maschile viene tramandato dal libro più letto del mondo: la Bibbia. “Erode, vedendosi beffato dai magi, si adirò moltissimo, e mandò a uccidere tutti i maschi che erano in Betlemme e in tutto il suo territorio dall'età di due anni in giù” (Matteo, 2:16). Ma senza dover scomodare i testi sacri, non mancano tanti esempi nella storia più recente: dal genocidio armeno del 1915-17, a quello indonesiano del 1965-66, alle “purghe” dei comunisti dell’ex URSS, passando dalla strage di Srebrenica – quando 8mila giovani vennero freddati dagli uomini di Karadzic nel 1992 – e dai numerosi (e taciuti) casi avvenuti nel Darfur sudanese. In guerra, infatti, gli uomini sono e sono stati regolarmente il bersaglio di gruppi contrapposti pronti a eliminare il nemico sul campo di battaglia.

Se lasciamo per un attimo da parte battaglie e scontri sanguinosi, anche nelle civiltà più avanzate e pacifiche assistiamo da tempo a un fenomeno che ha l’obiettivo di "eliminare" il genere maschile. Si tratta del femminismo radicale. Esiste infatti una parte della dottrina femminista del Novecento che auspica e rivendica il totale o parziale sterminio degli uomini. Ne sono portavoce la sociologa e scrittrice americana Charlotte Perkins Gilman, e la femminista e attivista eugenetica Margaret Higgins Sanger Slee. Nel 1982, la studiosa Sally Miller Gearhart scrisse un manifesto intitolato Il futuro – se ce n’è uno – è femmina in cui si teorizzava l’evoluzione dell'umanità basandosi sulla presenza di solo un 10 per cento di uomini. Ancora più di recente, a molti non risulterà nuovo il nome di Mary Daly, la docente cacciata nel 1999 dall’Università di Boston perché si era rifiutata d’accettare studenti maschi nel suo corso di Women studies.

Non sono casi isolati e nessuna di queste donne era una pazza da rinchiudere in manicomio. Fanno parte di un filone "estremo" del femminismo che parte dalla teoria della supremazia della donna per poi predicare la necessità di una “decontaminazione” del pianeta Terra attraverso la progressiva eliminazione del genere maschile. Basterebbe leggere il romanzo utopico Herland (“La Terra di Lei”) del 1915 scritto dalla Perkins o sfogliare i fiumi di pagine scritti da tutte le altre orgogliose femministe che credono fermamente nell’“inutilità maschile” per lo sviluppo dell’Umanità, per capire dove vorrebbero arrivare.

Saranno pure utopie irrealizzabili ma purtroppo c’è una brutta notizia: le teorie avanzate dalle paladine dell’eliminazione del maschio si basano sulla partenogenesi, un fenomeno presente in natura e potenzialmente sviluppabile anche in ambito umano. Si tratta di un processo spontaneo – quindi molto diverso dalla clonazione – ma stimolabile artificialmente, che consiste nel concepimento e nello sviluppo di un embrione mediante una divisione cellulare chiamata “mitosi”. In questo processo, l’ovulo femminile venuto a maturazione si raddoppia da sé, per autofecondazione. Siccome nella riproduzione partenogetica è necessaria una sola cellula femminile, nel genoma saranno presenti solo cromosomi X. Di conseguenza, nasceranno esclusivamente nuove femmine.

Nonostante questo processo riguardi principalmente alcune piante (alghe e funghi) e piccoli animali (come i pidocchi delle piante, le lucertole, le rane e le api) ed è rarissimo nei mammiferi, la scienza è andata oltre e ha iniziato ad applicarlo in nuovi ambiti. Nel 2004 in un laboratorio giapponese venne creata Kaguya, la prima topolina nata per partenogenesi. Per ottenere l’esperimento, i ricercatori hanno fatto maturare artificialmente 598 ovociti fino allo stadio di una sessantina di cellule (blastocisti). Gli ovociti sono stati poi impiantati in 26 topoline mamme-surrogate. Di questi, 25 non sono riusciti a completare lo sviluppo: molti sono morti prima del parto, altri invece sono morti subito dopo per gravi malformazioni. Ma una era sana e ha completato un normale sviluppo embrionale. Kaguya, però, non è il vero successo della ricerca: lo studio infatti è riuscito a influenzare alcuni meccanismi biologici evoluti che impediscono alla maggior parte delle specie di procreare senza maschio. In altre parole, se è possibile un’altra forma (asessuale) di riproduzione nei topi, forse è anche possibile applicarla ad altri mammiferi.

Tre anni fa, poi, la scienza è giunta a una vera e propria svolta nella sfera umana: per la prima volta al mondo, alcuni ricercatori argentini, che lavoravano negli Stati Uniti e in Argentina, sono riusciti a far sì che alcuni ovuli congelati di donna si sviluppassero senza l'intervento degli spermatozoi. Dopo aver scongelato gli ovuli crioconservati di donne intorno ai 32 anni, il team guidato da Ester Polak de Freid e José Cibelli ha attivato – o, meglio, ha indotto artificialmente – gli ovuli a svilupparsi con sostanze chimiche, mantenendoli a una temperatura adeguata in un'incubatrice, dove si è prodotta la divisione cellulare con la formazione di “blastocisti”. Gli scienziati spiegano che, con la partenogenesi, gli ovuli si comportano come se fossero fecondati da spermatozoi, ossia “credono” di essere stati attivati per questo, anche se non è così. Nonostante una blastocisti ottenuta con questa tecnica non potrebbe mai dar luogo a un essere umano (giacché è priva di cromosomi maschili), questo esperimento ha permesso lo sviluppo di cellule staminali identiche e compatibili con la donatrice dell'ovulo.

Al momento, la scoperta è soprattutto una novità molto importante tra le tante ricerche finalizzate ad ottenere cellule staminali per curare un ampio ventaglio di malattie (per esempio, in California la società Novocell è riuscita ad elaborare un processo per cui le staminali si trasformano in cellule pancreatiche capaci di produrre insulina e altri ormoni), ma nulla impedisce che il processo possa andare oltre. Prima o poi, infatti, potrebbe essere possibile produrre bambine partendo dalle cellule di donne che non hanno avuto alcun rapporto con un uomo. Una tale scoperta scientifica avrebbe conseguenze reali non di poco conto: in primis, lo sbilanciamento della composizione della popolazione umana così tanto auspicato dalle femministe radicali.

Il mondo sognato dalle nemiche del genere maschile viene per di più dipinto come un sistema sociale meraviglioso, dominato dalla pace, dall’ordine e dalla solidarietà “tipiche” delle donne. In “Herland”, la Perkins Gilman racconta di una civiltà formata da sole femmine: tutte bellissime, dal fisico e dalla intelligenza superiori al maschio, colte e sagge. Queste superamazzoni col cervello di Einstein non sono molto diverse dalle protagoniste del libro della Gearhart, The Wanderground. Si tratta di una storia ambientata nel futuro in cui le donne vivono in una comunità lesbica e comunicano per via telepatica tra di loro, ma anche con gli animali e con gli alberi. Delle scene che non sembrano molto lontane dal mondo fantastico e dai personaggi incantevoli raccontati da James Cameron in “Avatar” solo che, nel primo capitolo di Wanderground, la Gearhart spiega al lettore che “i maschi sono creature piene d’odio e che perciò meritano di morire”.

Se a tutto questo aggiungiamo che una parte della comunità scientifica avalla l’idea della superiorità della donna (e che la partenogenesi trovi le sue radici e spiegazioni anche nella più antica filosofia presocratica), il pericolo di una realizzazione pratica delle ideologie femministe radicali comincia a farsi meno remoto. Il libro di Marianne Wex, Partenogenesi oggi, sostiene che recenti scoperte scientifiche avrebbero dimostrato che il DNA femminile (cromosoma X) è 100mila anni più vecchio di quello maschile (cromosoma Y). Da questo fatto si risalirebbe a due conclusioni sorprendenti: la più antica forma di riproduzione sulla Terra sarebbe quella partenogetica e il cromosoma maschile – quello responsabile della nascita di esseri umani maschili – sarebbe solo il frutto di una mutazione genetica. Per questo, osserva la Wex, “nel complesso gli uomini hanno una salute molto più cagionevole delle donne e una vita meno lunga già a cominciare dalla condizione prenatale, dato che gli aborti spontanei sono più frequenti dei feti maschili”. Non sorprendono quindi affermazioni come quelle della Sanger, eugenetista e fondatrice di Planned Parenthood, che vedeva nel controllo delle nascite un metodo utile per migliorare la razza, con l’obiettivo di eliminare gli inadatti. E, per una femminista radicale del suo calibro, tra quest’ultimi rientravano anche gli uomini.

Se è pur vero che almeno per il momento non è in atto alcuna "spedizione punitiva" nei confronti degli uomini, è altrettanto vero che le ideologie femministe hanno impregnato la nostra società, gettando i semi di una vera e propria “guerra fra i sessi”. Appena qualche giorno fa, un giudice di Sevilla ha sollevato un polverone di critiche dopo aver affermato che “le false denunce di maltrattamenti in famiglia stanno provocando un genocidio di uomini” perché il conseguente ritiro della custodia dei figli avrebbe spinto oltre 2.400 padri spagnoli al suicidio. Nonostante sia un’affermazione molto azzardata e provocatoria, la sua accusa nasconde una denuncia molto più sottile: il sistema legale occidentale tende sempre di più ad assegnare diritti alle donne e responsabilità agli uomini; nel caso degli aborti, delle nascite e della genitorialità, per esempio ma non solo. Non sono poche le leggi o le decisioni giudiziali che avvantaggiano un genitore solo ed esclusivamente per il suo sesso e più volte abbiamo sentito gli uomini lamentarsi d’essere discriminati come classe. (Nei giorni scorsi, sempre in Spagna, il ministro per le pari opportunità Bibiana Aido ha avanzato un progetto di legge per lanciare “un nuovo modello di mascolinità”.)

Anche se l’estinzione del genere maschile resta – per fortuna – ancora solo una pericolosa utopia, la società moderna dovrebbe fare i conti con una realtà: le politiche femministe radicali sono già riuscite a penetrare in parte nella nostra politica e nel nostro apparato giuridico. Forse è ora di svolgere una profonda riflessione prima che l’odio femminista e la misantropia prendano il controllo delle nostre società.

Fabrizia B. Maggi

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