La cittadinanza è un diritto

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Davide
00martedì 29 dicembre 2009 18:40
La questione della revisione della disciplina in materia di cittadinanza ha assunto una rilevanza anche politica, se è vero, come è vero, che la ormai ben nota, e condivisibile, posizione del presidente della Camera sullo 'ius soli' (ovvero il diritto di cittadinanza per chi nasce in Italia, ha determinato una spaccatura all’interno della maggioranza parlamentare).

Il presidente Fini ha infatti, con molto buon senso, spiegato che "i figli degli immigrati sono il futuro …” e che certamente è il momento di non opporre rigidità e chiusura al cambiamento, invitando la destra “…a non essere pigra, a mettersi in discussione, a sfidare il futuro con coraggio, a partire da immigrazione e cittadinanza”.

E’ indubbio che, oggi, i migranti, anche se non formalmente esclusi dalla cittadinanza, sono in grave difficoltà e non riescono a vivere pienamente i propri diritti.

E allora, non possiamo ignorare il problema con un atteggiamento di chiusura: di questo non si parla, punto. Si tratta di un problema di rilievo tutt'altro che marginale. E invece, ancora si sente dire nella sedicente Padania: ‘piuttosto se ne tornino a casa loro’, lo abbiamo visto e sentito tutti attraverso le testimonianze e le interviste a giovani padani, recentemente trasmesse da alcune trasmissioni di approfondimento, e i cui contenuti non fanno certo onore né alla tolleranza né alla ragionevolezza.

Credo che su questo sia un bene in assoluto avviare, invece, una riflessione, una discussione aperta, che ci porti da qualche parte, non a rinchiuderci nelle rispettive posizioni di partito o di convenienza elettorale che siano.

Le questioni di cui da tempo si dibatte sono diverse: introduzione dello ius soli accanto allo ius sanguinis, dimezzamento dei tempi di concessione della cittadinanza da 10 a 5 anni, fare in modo che i minori che non sono nati nel nostro Paese ma che hanno compiuto un ciclo completo di studi possano accedere al termine della scuola alla cittadinanza, differenziare il trattamento dei coniugi di cittadini italiani che vivono in Italia rispetto a quelli che risiedono all’estero, soppressione della possibilità di avere doppia cittadinanza, come chiediamo noi dell’Italia dei valori.

Insomma, materia per discutere e decidere ce n’è. E allora perché dobbiamo sempre guardare alcuni Paesi europei, come la Danimarca, la Svezia, la Finlandia e l’Olanda, compiere quelle che sono considerate scelte coraggiose e lungimiranti quale l’estensione agli stranieri del diritto di voto in occasione delle elezioni locali e regionali? Perché ritenere che noi non siamo pronti per un gesto così, perché plaudere sempre alle scelte altrui?

Recenti dati Istat ci informano che ormai i cittadini stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2009 sono 3.891.295, pari al 6,5% del totale dei residenti. Sul totale dei residenti di cittadinanza straniera quasi 519 mila sono nati in Italia (72.472 nel solo anno 2008). Gli stranieri nati nel nostro Paese sono un segmento di popolazione in costante crescita: nel 2001, in occasione del Censimento, erano circa 160 mila. Essi costituiscono il 13,3% del totale degli stranieri residenti e, non essendo immigrati, rappresentano una “seconda generazione” in quanto la cittadinanza straniera è dovuta unicamente al fatto di essere figli di genitori stranieri.

Se non riusciremo a trovare una maniera diversa dal linguaggio abitualmente utilizzato, cui ho già fatto cenno, per parlare dell’immigrazione, resteremo con le stesse, note difficoltà nel gestire responsabilmente l’Italia che si va costruendo, dove è e sarà sempre più evidente la presenza di cittadini stranieri regolarmente soggiornanti e ai quali non si possono negare i diritti di cittadinanza.

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