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La signora fa default, debito rinegoziato da 87 a 11 mila euro

Ultimo Aggiornamento: 04/02/2015 18:32
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04/02/2015 18:32

Il conto con Equitalia ridotto dal giudice. Applicata la legge varata da Monti nel 2012

«Si vive alla giornata ma ora finalmente posso stare tranquilla». Rossella Stucchi, 53 anni, impiegata, è riuscita a chiudere il suo debito con il Fisco dopo tredici anni e con uno sconto: si è vista ridurre dal Tribunale di Busto Arsizio il conto nei confronti di Equitalia a 11 mila euro da 87 mila. Anche le famiglie ora possono evitare il fallimento come le società, presentando al Tribunale il «piano del consumatore», una proposta di accordo di rientro del debito. Come ha fatto Stucchi? Ricorrendo alla legge del 2012, ancora poco usata, che regola la «Composizione della crisi da sovraindebitamento». La norma è stata emanata dal governo Monti, e poi ritoccata dal governo Letta, per aiutare consumatori e piccoli imprenditori in difficoltà che a causa della crisi economica non riescono più a far fronte ai debiti.

Stucchi chiude così «un’odissea cominciata nel 2002, quando mi è arrivato un avviso di accertamento — racconta — sull’anno di imposta 1996». Gli venivano contestati 26 milioni di vecchie lire, in termini tecnici si trattava di «una pretesa tributaria per un maggior reddito», spiega il suo avvocato, Pasquale Lacalandra. «Ho fatto subito ricorso — prosegue Stucchi — ma non è stato accolto. Poi ne ho fatto un secondo con lo stesso esito. All’epoca ero separata, con due figli piccoli a carico e con uno stipendio di 1.200 euro al mese. Non potevo pagare quanto mi contestavano, così sono maturati gli interessi a un livello mostruoso, ma non potevo fare nulla. Non sono stati momenti facili, ho avuto gravi problemi di salute e anche con il lavoro ci sono stati problemi, sono stata in cassa integrazione per oltre un anno. Ora ho un impiego part-time da mille euro al mese. Anzi, 1.080 grazie al bonus». La situazione si complica nel 2012: «È morto mio padre e ho ricevuto in eredità con mia madre e mio fratello la casa di famiglia. A me spettava un sesto. Un anno dopo, il 30 luglio 2013, ho ricevuto da Equitalia la comunicazione di preventiva iscrizione ipotecaria della casa di mia madre».

«L’abitazione poteva essere ipotecata — spiega l’avvocato Lacalandra — ma non venduta da Equitalia perché si tratta di casa principale, come previsto dal Decreto del Fare. Comunque, il risultato era che la mia cliente si è vista un importo iscritto a ruolo di 51 mila euro, più 30 mila di interessi, più 2.780 di compensi di riscossione. Nel corso della procedura è lievitato fino a 86.994 euro per il crescere degli interessi». Da rimborsare con uno stipendio di mille euro al mese e nessun altro bene eccetto quel sesto di casa. «Ho chiesto la rateizzazione del debito — continua Stucchi — ma dovevo pagare mille euro al mese, tanto quanto le mie entrate: impossibile». La via d’uscita è stata la legge per la «Composizione delle crisi da sovraindebitamento», che prevede che il consumatore, gravato da passività non derivate da attività di impresa o professione, presenti un piano di ristrutturazione del proprio debito. La procedura comporta che il consumatore possa essere ammesso a pagare il proprio debito anche in misura non integrale, a determinate condizioni. Se il giudice approva il piano, questo diventa vincolante per i creditori. «Abbiamo offerto al Tribunale tutto il patrimonio di Stucchi — spiega l’avvocato —, cioè la porzione della casa di famiglia che è stata venduta. Valore 11 mila euro. Il giudice ha accettato». Con buona pace di Equitalia.

A questa procedura possono ricorrere non solo i privati ma tutti i debitori non fallibili dal punto di vista tecnico, quindi anche piccoli imprenditori e professionisti. In questo caso, però, la proposta di accordo comporta il consenso di almeno il 60% dei creditori.

Francesca Basso

www.corriere.it
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