VENEZIA — Dopo tredici anni, di quello «smacco» se n’era quasi dimenticata. O forse no perché, legge alla mano, in ballo c’era comunque il suo posto di lavoro «guadagnato » grazie a un bando e «perso» per colpa di una visita medica e per una statura considerata al di sotto del limite consentito. Tredici anni vissuti lavorando ma in attesa di conoscere se la sentenza le avrebbe dato ragione oppure torto. La donna lavora regolarmente presso la Polizia municipale di Verona dal 7 ottobre 1997, ovvero da quando fu assunta con delibera di giunta (la numero 1776 come risulta dalle carte del Tar). Ora però, pur con i tempi lunghi che ogni tanto riserva la giustizia amministrativa, è arrivato il riconoscimento «postumo»: quell’esclusione del 1997 «perché era troppo bassa» era illegittima (ma è bassa una donna di un metro e sessantatré?). Qualche dubbio era venuto pure al tribunale amministrativo era venuto tanto che aveva immediatamente emanato un’ordinanza sospensiva in attesa di entrare nel merito della questione. Per decidere, tempi della nostra giustizia, ci sono voluti tredici anni e venerdì scorso è stata pubblicata la sentenza definitiva.
Ora la vigilessa, oggi 45enne, si è tolta dal presente, dal passato e soprattutto dal futuro ogni minima ombra. Tutto cominciò quando il 20 aprile 1995 la giunta comunale di Verona bandisce un concorso pubblico per il conferimento di cinquanta posti di agente di Polizia municipale. La donna in realtà arriva 62esima e dunque non viene assunta immediatamente. Un paio di anni dopo, causa alcune defezioni e spostamenti, arriva il suo turno, ma alla visita medica viene bloccata: la sua statura risultava essere infatti di 1,63, ovvero due centimetri in meno rispetto al severo bando che prevedeva un’altezza minima di 1,65. Il dirigente del settore personale di Palazzo Barbieri le comunicava dunque il 24 aprile 1997 l’impossibilità di procedere alla sua assunzione, «per carenza di requisito». Immediato era scattato il ricorso al Tar del Veneto con gli avvocati Agostini, Belligoli e Dalla Santa e il 29 luglio successivo il tribunale amministrativo aveva accolto la richiesta di sospensiva, obbligando il Comune ad assumere la donna. Oggi, tredici anni dopo, la conferma che aveva ragione. Secondo il Tar infatti quel bando era illegittimo laddove prevedeva un limite minimo di altezza: una legge del 1986 affermava che «l’altezza delle persone non costituisce motivo alcuno di discriminazione per la partecipazione ai concorsi pubblici indetti dalle pubbliche amministrazioni », salvo alcuni casi poi definiti l’anno successivo: nell’elenco c’erano Forze armate, Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Corpo forestale, Vigili del fuoco e Ferrovie dello Stato.
Un elenco tassativo in cui i vigili urbani non ci sono. Tra l’altro, osserva ancora il Tar, perfino in questi casi il limite è più benevolo dell’1,65 del bando veronese, visto che si utilizza una statura minima di 1,61: «la statura minima prescritta dal bando non appare in ogni caso congrua, tenuto conto di quanto stabilito per posizioni professionali sicuramente comparabili», scrive il Tar. La conclusione è dunque secca: «la decisione di non assumere la ricorrente per l’unica ragione che questa non aveva la statura minima prescritta, è illegittima, con il conseguente obbligo conformativo, peraltro già attuato in attuazione del provvedimento cautelare, di costituire il rapporto d’impiego con la stessa».
Alberto Zorzi
Fonte: corriere.it