Cheerleader stuprata non applaude violentatore: cacciata e condannata

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alevalery
00lunedì 9 maggio 2011 14:56
MILANO - Dovrà pagare 45 mila dollari (30.500 euro) per non aver applaudito la persona che qualche mese prima l'aveva stuprata. Lunedì scorso la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di non riesaminare il verdetto di una controversa sentenza della Corte d'appello federale di New Orleans ha lasciato molto perplessa l'opinione pubblica americana. S. A., ex cheerleader della Silsbee High School, liceo dell’omonima città del Texas, è stata condannata a risarcire la sua scuola perché circa due anni fa durante una partita della squadra di basket del liceo si rifiutò di applaudire Rakheem Bolton, il giocatore di punta del suo istituto che era anche l'uomo che qualche mese prima l'aveva violentata durante un party scolastico. S. A., che per la sua condotta era stata cacciata dalla squadra delle ragazze pon pon, aveva fatto causa alla scuola. Tuttavia la Corte ha dichiarato legittima la decisione dei dirigenti scolastici e ha condannato la famiglia della ragazza a pagare le spese legali della difesa.

LO STUPRO E POI IL RIFIUTO - S. A. aveva appena 16 anni all'epoca dei fatti. Nell'ottobre del 2008 durante un party scolastico Rakheem Bolton assieme a due amici, trascina con la forza in una stanza la giovane e la violenta. Segue il processo per violenza carnale e solo nel settembre del 2010 Bolton riconoscerà le sue colpe e otterrà una sospensione condizionale della pena. Tuttavia più di un anno prima i destini della cheerleader e del suo stupratore si erano incrociati di nuovo. Nel gennaio 2009, come sempre durante una delle partite di basket della Silsbee High School, S. A. guidava il gruppo delle ragazze pon pon al palazzetto dello sport di Huntsville. A un certo punto Bolton, dopo aver subito un fallo, era pronto per i tiri liberi. Ma invece di incitare il suo nome a gran voce, S. A. rimase in silenzio con le braccia conserte. Ciò indispettì il sovrintendente del distretto, la sua assistente e il preside della scuola che le intimarono di tifare oppure di tornarsene a casa. La ragazza, umiliata, decise di lasciare il palazzetto dello sport: «Non volevo pronunciare il suo nome e non volevo acclamarlo», avrebbe dichiarato ai giornalisti locali la ragazza. «Non volevo esaltare qualcuno che si era macchiato di un reato tanto ignobile».

NON POTEVA RESTARE IN SILENZIO - La ragazza non si è data per vinta e qualche giorno dopo, assieme ai suoi genitori, ha deciso di far causa alla scuola e al distretto dichiarando che «la sua libertà d'espressione era stata lesa dal comportamento dei dirigenti dell'istituto». Ma prima la Corte d'appello di New Orleans lo scorso settembre e poi lunedì scorso la Corte Suprema hanno dato ragione alla scuola perché «la ragazza in quel momento era la portavoce dell'istituto e non di se stessa, quindi non aveva alcun diritto di starsene in silenzio». Secondo la Corte d'appello H. S. «aveva accettato volontariamente il compito di essere una cheerleader e quindi aveva ceduto temporaneamente all'istituto il diritto costituzionale di libertà di parola». La famiglia della ragazza - ha concluso la Corte - dovrà pagare 45 mila dollari di spese legali al distretto scolastico perché lo ha trascinato in tribunale per una causa «frivola». Da parte sua Laurence Watts, avvocato di S. A, non ci sta e ha affermato che con quest'ultima sentenza è stato stabilito che da oggi in poi chi esercita il proprio diritto d'espressione può essere punito se si rifiuta di seguire «indicazioni insensibili e irragionevoli».

Francesco Tortora


Fonte: corriere.it

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