Apologia di reato: sia più grave su internet

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Davide
00martedì 22 dicembre 2009 14:57
Un progetto di legge presentato al senato propone un giro di vite sull'apologia dei delitti contro la persona. Soprattutto online

L'istigazione a delinquere e l'apologia di reato sono già previste nel codice penale, ma se avverrà tramite Internet o telefono, e riguarderà delitti contro la vita e l'incolumità della persona, scatterà un'aggravante. Questo è, almeno, quello che prevede il decreto legge proposto dal senatore del Pdl Raffaele Lauro. La proposta di legge nasce sull'onda delle polemiche seguite all'attentato subito dal presidente del consiglio Silvio Berlusconi, in particolare rispetto ai gruppi di Facebook su cui si è “festeggiato” l'avvenimento e l'autore dell'aggressione.

“L'aggressione a Berlusconi – si legge in una dichiarazione del senatore Lauro pubblicata dal Corriere della Sera - ha evidenziato la necessità di intervenire sul fenomeno diffuso, caratterizzato da esortazioni alla violenza e all'aggressione mediante discorsi, scritti e interventi che, in virtù delle moderne tecnologie informatiche, riescono ad acquisire una rilevanza mediatica significativa”.

Il decreto legge propone un giro di vite, in generale, per chi istiga a commettere delitti contro la vita e l'incolumità delle persone o ne faccia apologia, prevedendo come pena la reclusione da tre a dodici anni (la legge in vigore prevde da uno a cinque anni). Se poi il reato è commesso tramite comunicazione telefonica o telematica (internet e social network), la pena dovrebbe essere aumentata, introducendo un'aggravante, un po' come avviene per la diffamazione a mezzo stampa.

Nel decreto legge proposto non sembrano essere previste pene anche per eventuali intermediari, quali potrebbero essere Facebook, Twitter e altri contenitori tipici del web 2.0. In questo modo, potrebbero essere bypassate le accuse di censura alla Rete già mosse da alcuni esponenti dell'opposizione allorché sono state evocate misure di controllo su Internet e sui social network.
Facebook, in ogni caso, aveva già dichiarato tramite i suoi portavoce di voler collaborare con il governo, provvedendo a chiudere i gruppi nati per esaltare l'aggressione di Massimo Tartaglia al premier Berlusconi.

Il senatore Lauro, nel presentare la sua proposta di legge, ha dimostrato inoltre di essere particolarmente interessato all'uso delle nuove tecnologie da parte delle giovani generazioni. “Insieme con il disegno di legge – ha infatti dichiarato - ho presentato una mozione parlamentare, già sottoscritta da più di 50 senatori di maggioranza e opposizione, per discutere al Senato di cultura informatica e degli effetti perversi derivanti dall'uso patologico del cellulare da parte di giovani e giovanissimi”.

www.pcworld.it
alevalery
00giovedì 24 dicembre 2009 11:09
Non ho letto l'articolo quindi se è già scritto mi scuso. Secondo me sarebbe incostituzionale una norma del genere. Voglio dire, l'aver agito per suggestione di una folla in tumulto o in stato d'ira sono considerate attenuanti, non vedo perché non dovrebbe esserlo anche l'aver espresso la propria opinione in un ambiente virtuale.
Davide
00giovedì 24 dicembre 2009 20:39
Sì ma un conto è una folla che ti sprona con fucili e forconi, un altro sono 4 pinchi che magari creano 1000 fake.
UniMarconcino
00sabato 26 dicembre 2009 16:14
Secondo me non è quello il punto.
Il punto è che in internet c'è l'anonimato ed è incontrollabile.
In una folla puoi identificare il colpevole, vedi omicidio Raciti o comunque trovare chi l'ha fomentata, in internet è un processo molto più complicato.
alevalery
00domenica 27 dicembre 2009 11:48
Secondo me è molto più difficile identificare una folla (a meno di registrazioni audio e/o video) che un ip su internet.
Davide
00domenica 27 dicembre 2009 13:02
Oltretutto non è nemmeno sicuro che l'assassino di Raciti sia Speziale.

Omicidio Raciti: Speziale è libero

Per chi non lo ricordasse Antonio Speziale è uno dei due indagati nella morte di Filippo Raciti, l’ispettore di polizia che perse la vita il 2 fabbraio 2007 durante gli scontri del derby Catania-Palermo.

Ai domiciliari nella sua casa di Jesi per resistenza a pubblico ufficiale Speziale ha trascorso la sua detenzione prestando tre volte la settimana il suo operato presso la sede della Croce Rossa Italiana. La condanna gli era stata inflitta dal Tribunale dei Minori di Catania, che dovrà pronunciarsi ora sull’accusa di omicidio.

E’ stato il suo legale, l’avvocato Giuseppe Lipera, a confermare la notizia della libertà del giovane. Speziale, che si è sempre dichiarato estraneo all’omicidio, commentando il suo primo giorno di libertà ha dichiarato:

Ho pagato gli errori che ho fatto, e voglio imparare a non commetterne più. So di avere sbagliato, ma ribadisco la mia estraneità alla morte dell’ispettore Filippo Raciti. Sono contento di essere libero - aggiunge - ma adesso mi devo liberare dall’altra accusa, che respingo con fermezza nel rispetto del dolore altrui. Adesso voglio pensare a costruirmi la vita. Trascorrerò il Natale a casa dai miei familiari e poi penserò al mio futuro. Il Catania? Lo seguo in televisione perché ho il Daspo (il divieto di accedere alle manifestazioni sportive ndr) e guardo quello che si può mentre firmo in caserma. Ma i veri problemi sono altri. Sono certo di avere ancora delle possibilità e questo grazie alla mia famiglia e al mio legale, l’avvocato Giuseppe Lipera, che mi sono sempre vicini.

www.crimeblog.it
alevalery
00martedì 29 dicembre 2009 12:38
Libertà di Internet e reati: sì all'anonimato protetto

di Luca Bolognini* e Pietro Paganini**

Si discute se regolare o no Internet. Internet resta ancora in larga parte terra di nessuno, dove la legalità e il “super-Io” dell'autorità non sembrano arrivare. C'è chi grida allo scandalo per l'anarchia impunita del web, da una parte, e chi invece grida al pericolo totalitario della censura in difesa della libertà d'espressione. Nessuno dei due schieramenti ha centrato il problema né sembra impegnarsi a farlo, anche perché a fomentarli c’è una folta schiera di provocatori, chi con interessi politici e chi con interessi commerciali.

In questi giorni il Corriere è riuscito ad introdurre ordine metodologico nel dibattito, con una serie di commenti molto chiari ed efficaci che hanno aiutato ad individuare il problema del bilanciamento tra libertà degli utenti della rete, libertà di espressione e diritto alla propria dignità. A nostro avviso, è tuttavia necessario introdurre un ulteriore fattore, relativo alle soluzioni tecniche - non ai massimi sistemi e principi, per quanto nobili - che siano al contempo rispettose dell'individuo (per privacy, identità personale, immagine, libertà di espressione, di corrispondenza, diritti di cronaca e di critica, ecc.) e della società in cui egli vive e interagisce. E’ proprio il bilanciamento delle libertà il fondamento dello “Stato Liberale”: ciascun individuo è limitato dal prossimo e dal patto che lo connette al tessuto collettivo. Questo accade - o dovrebbe accadere - anche in rete.

Internet ha bisogno di regole? In primo luogo non pare ragionevole introdurre una legislazione ad hoc mediante decretazione d'urgenza. Questi sono temi che richiedono ampio dibattito, profonda riflessione e competenza, perché riguardano problemi antichi, delicati, perennemente in bilico, e tecnologie “istantanee”, inesplorate, in costante evoluzione: un decreto governativo avrebbe l'effetto dell'elefante in una cristalleria, devastante e grossolano. Non servono nemmeno nuove leggi speciali nazionali, per quanto dibattute e formate mediante un sano e fisiologico processo democratico.

Serve, invece, l'aggiornamento “continuo” delle disposizioni normative che riguardano anche (ma spesso non solo o non tanto) Internet e la correzione delle regole eventualmente già stabilite, in base a criteri di efficacia e di esperienza. Si tratta, in sostanza, di fornire “armi” adeguate alla Giustizia (non ai Ministri e neppure ad un'autorità ad hoc) affinché possano perseguire con più rapidità e maggiori risultati ogni illecito penale commesso in rete. Il tutto, con lo sguardo rivolto all'Europa, e possibilmente ad una dimensione globale.

Qualche esempio. Come dicevamo, andrebbero forniti strumenti più efficaci ai giudici dei Paesi europei (non al Governo italiano) per rintracciare i delinquenti della rete: una delle soluzioni tecniche potrebbe essere per esempio. il cosiddetto “anonimato protetto”, che bilancia la libertà e la privacy con il contrasto al crimine. Si tratta della possibilità di operare in Rete "dosando" e/o anonimizzando la propria identità verso l'esterno, restando tuttavia identificabili dall'autorità in caso di reato. “Anonimato protetto” significa questo: chi si connette alla rete deve farsi identificare (veramente, ufficialmente) dal fornitore del servizio, ma poi, una volta in rete, può scegliere di risultare anonimo verso chiunque.

C'è di più. Il tema della necessaria certezza delle identità digitali e del corrispondente bisogno di privacy è affrontabile non solo per la connessione tout court, ma anche per la fruizione di servizi su Internet. Già diversi colossi ICT (Microsoft, Verizon, ecc.) hanno sviluppato sistemi di gestione delle identità elettroniche in questo senso, che consentirebbero da un lato di verificare i dati personali dell'utente (come un documento d'identità digitale on-line) e dall'altro di comunicare solo i dati indispensabili per ciascuno scopo di volta in volta. Esempio: se vogliamo giocare ad un casinò on-line, al sito interesserà conoscere la nostra età e non il resto, per evitare che un dodicenne si iscriva e punti soldi. Questi sistemi, in tal caso, comunicherebbero solo quel "pezzo" della nostra ID digitale contenente l'età, e nient'altro. E se ci iscrivessimo ad un forum per discutere di politica? Può non servire altro se non il numero identificativo del nostro certificato: saremo anonimi verso tutti, ma se diffameremo qualcuno potremo essere identificati, ex post, dalla magistratura. Per funzionare, sia l'anonimato protetto sia questi ulteriori sistemi necessitano della diffusione di standard tecnologici e dell'interfaccia tra i produttori di piattaforme per ID management (privati) e gli Stati (che forniscono i dati ufficiali e aggiornati). Il semplice indirizzo IP di connessione, quand'anche personale e univoco grazie all'evoluzione normativa UE, non è sufficiente: ci troveremmo una miriade di casi nei quali l'utilizzatore concreto è distinto dall'intestatario della linea (e questo è uno dei motivi che rendono oggi iniquo il sistema di persecuzione dei reati on line).

Serve quindi spostare l'attenzione (e la ricerca di soluzioni) dal mero accesso "alla" rete a ciò che avviene "sulla" rete. E' auspicabile la modifica della Direttiva 2006/24/CE, che oggi non tiene sufficiente conto delle sovrastrutture rappresentate da social networks e motori di ricerca e che impone la conservazione dei dati di traffico telematico per scopi di repressione dei reati, ma non quella dei dati di traffico che siano pure contenuti (come gli IP o i siti web di destinazione). Il risultato dell'attuale assetto normativo è che parecchi procedimenti si arrestano prima ancora di cominciare, per l'oggettiva irreperibilità di questi dati decisivi per le indagini; un Gip di Milano, questa estate, contestava proprio questa problematica al Garante Privacy, il quale tuttavia in passato si è limitato, correttamente, ad applicare l'imperfetta normativa esistente. E’ a livello europeo dove si deve intervenire per cominciare. L'Italia dovrebbe poi farsi promotrice e sostenitrice, con più forza, del percorso verso una Convenzione internazionale in materia di internet (si chiami essa “Internet Bill of Rights” o in qualunque altro modo) che vada rispettata da tutti, Stati, cittadini e industrie ICT.

Concludiamo con una nota leggermente polemica. In molti invocano un'alleanza tra Stati e provider privati (un'autoregolamentazione concordata tra Governo e imprese, pare indicare il Ministro Maroni in queste ore), per sviluppare politiche di gestione dei contenuti che siano realmente efficaci e senza dover emanare nuove leggi. La domanda è: facciamo le barricate per evitare che i Governi abbiano poteri di intervento diretti (non filtrati dalla magistratura) sui nostri contenuti e su internet, e poi affidiamo gli stessi poteri ad industrie private, magari con server appoggiati su piattaforme in mezzo all'oceano e sedi legali dall'altra parte del mondo? Qualcosa non funziona in questo ragionamento, e il rimedio proposto sarebbe peggio del male temuto.

* Presidente dell'Istituto Italiano per la Privacy
** Professore della John Cabot University
Davide
00martedì 29 dicembre 2009 18:17
Iuzzo, riassumi!
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