Libertà di commentare non significa libertà di offendere, ferire, diffamare. Non è neppure grafomania, logorrea, isterismo. I siti di informazione non possono diventare guardiani della morale pubblica
La libertà, come tutte le cose importanti, bisogna meritarsela. Ci sono libertà maiuscole e libertà minuscole: tra queste, quella di pubblicare un commento su un giornale. Perché i siti di notizie stanno eliminando queste sezioni, si chiede Mashable in America? Perché, restando dentro le nostre sponde, abbiamo dovuto togliere la possibilità di commentare le lettere del blog «Italians» e altre sezioni di Corriere.it? Semplice. Perché stavano diventando l’equivalente digitale dei muri nei bagni delle scuole. Con un’aggravante: a scrivere insulti, volgarità e bugie non erano adolescenti eccitati. Erano adulti imperdonabili.
I siti d’informazione non hanno né la voglia né i titoli per diventare guardiani della morale pubblica
Libertà di commentare non è libertà di offendere, ferire, diffamare. Non è neppure grafomania, logorrea, isterismo. I siti d’informazione - in Italia, in Europa, negli Usa - non hanno né la voglia né i titoli per diventare guardiani della morale pubblica. E neppure le risorse per pagare schiere di controllori che impediscano al pattume verbale di arrivare sul web. Il Guardian riceve un milione di commenti al mese. Per gestirli impegna uno staff di dipendenti e freelance che sorveglia la sezione, 24 ore al giorno. Non tutti possono permetterselo. Forse neppure il Guardian .
La cosiddetta «moderazione» - un commento per essere pubblicato deve soddisfare alcuni requisiti minimi (legali, logici) - costa. Quand’abbiamo aperto i commenti a «Italians» - nel 2011 - ci siamo accorti che occorrevano cinque persone per gestirli. Trenta scalmanati approfittavano della nuova vetrina per inveire, diffamare, pubblicare insulti sessisti o razzisti. Sapevano di rovinare il piacere della discussione a migliaia di lettori perbene? Certo. Non gliene importava nulla. Il più molesto usava dodici identità diverse, di cui due femminili. Ce ne siamo accorti perché tutti quei (pessimi) commenti arrivano dallo stesso indirizzo IP. Ovviamente, appena chiusa la sezione, lui e quelli come lui hanno cominciato a gridare: «Censura!». Troppo sciocchi per capire che la nostra libertà si ferma dove comincia quella degli altri. Il mondo oggi fornisce troppe notizie terribili per giocarci sopra con cinismo saccente. Pensate alle stragi dell’Isis, alle esecuzioni talebane, alla nuova protervia russa. O alla vita pubblica italiana, dove dramma e farsa si mescolano quotidianamente.
C’è chi ha scelto la strada opposta, quella della demagogia, lasciando libertà di sproloquio. Il blog di Beppe Grillo, per esempio; e molti giornalisti - spesso additati dal capo - ne hanno fatto le spese. Anche questo, probabilmente, ha contribuito all’attuale Big Bang del Movimento 5 Stelle. Un luogo libertario è diventato uno sfogatoio di frustrazioni. Nei commenti era evidente da tempo.
Il dibattito partito in America
In America - scrive «Mashable» - i commenti sono stati aboliti da «.Mic», dopo il collegamento a «Drudge Report», e da «Popular Science». «Quartz» ha aperto senza prevedere un’apposita sezione. Reuters ha tolto le possibilità di commentare le notizie (non i pezzi d’opinione).
«Averli o non averli è uguale», scrive Jay Rosen, docente di giornalismo alla New York University. «Basta che redattori e giornalisti siano raggiungibili, ed esista una relazione a doppio senso con i lettori». Al Corriere , ci sentiamo di dire, accade.
Qualcuno dirà: d’accordo. Ma, togliendo la sezione commenti, crudeltà, volgarità e insulti si trasferiscono sui social (Facebook, YouTube, Twitter etc). È vero, purtroppo. Ma almeno non è più un problema dei giornali, che di problemi ne hanno abbastanza. Siamo giornalisti, più o meno bravi; non guardiani di uno zoo.
Beppe Severgnini
www.corriere.it