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Una legge per star lontani dai tribunali

Ultimo Aggiornamento: 11/01/2011 23:39
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11/01/2011 23:39

Da marzo prima della causa civile si potrà ricorrere a un servizio di mediazione che avrà valore di sentenza

Il più grande condottiero è colui che vince senza combattere». Il generale cinese Sun Tzu lo scriveva già nel quarto secolo avanti Cristo, dettando le regole per l’«Arte della guerra». Da marzo, il tentativo di trovare un’ intesa prima di ricorrere all’avvocato sarà regolato da una legge. Una svolta necessaria per convincere condomini, automobilisti, ex coniugi, a evitare il ricorso ai giudici, in modo da evitare spese alle famiglie e sovraccarichi di lavoro per i tribunali civili già al collasso. Una possibilità che a Torino è realtà già da dieci anni.

«Da noi arrivano casi incredibili, spesso situazioni che si trascinano da tempo, e le storie delle persone coinvolte sono a volte angoscianti nel dolore». Alberto Quattroccolo, laureato in giurisprudenza e laureando in psicologia, parla da una delle sedi di «Me. Dia.Re», l’associazione di cui è presidente e che già dal nome indica la sua attività. Quattroccolo è in una delle sale di primo ascolto, quelle dell’«incontro tra le parti» e la più grande dove psicologi e operatori cercano di capire come trovare le soluzioni.

Me.Dia.Re è nata nel 2001, ha cercato in questi anni di trattare casi di ogni genere, da matrimoni finiti e conseguenti separazioni difficili, ma anche l’infrangersi di coppie gay dove è difficile applicare le stesse norme che si applicano ai divorzi. Cinque le sedi e i servizi sono gratuiti, per 4.449 casi analizzati fino al sette dicembre dell’anno appena finito, la metà risolti senza avvocati. La maggioranza sono classificati come «disagio in famiglia» (1313) poi ci sono i conflitti tra medico e paziente e quelli di «disagio nel lavoro». In questi ultimi casi spesso si tratta di mobbing o di persone che hanno perso l’occupazione.

Con l’entrata in vigore della legge l’intesa stretta tra le parti nelle sedi di Me.Dia.Re, viene formalizzata da un accordo scritto e avrà lo stesso valore di una sentenza. «Spesso però si presentano qui da noi persone cariche di odio, di ostilità - racconta Quattrocolo -, che alla fine si scopre non hanno mai parlato con la “parte avversa”. Il dolore e la sfiducia possono addirittura portare a considerare con sospetto, e diffidenza chi prova a ricomposizione».

La legge imporrà sì una mediazione, ma solo se entrambe le parti lo desiderano, altrimenti si torna dagli avvocati. Gli operatori di Me.Dia.Re tengono conto del fatto che spesso le persone - con bisogni, emozioni e sentimenti - considerano la proposta della mediazione come un invito a partecipare a una trattativa con un «nemico», e la prospettiva come o incompatibile con la loro sensibilità: si pensi solo alle liti tra fratelli per la divisione dell’eredità. Qui vengono coinvolti sentimenti e rapporti che possono portare ferite vecchie di anni, e soldi o gioielli vengono presi come un risarcimento per un dolore che è dell’anima è poco ha a che fare con il conto in banca.

«Ci sono poi famiglie che si ritengono vittime della malasanità - racconta il presidente -. Da noi si presentate persone che hanno perso un familiare e ritengono che la colpa sia stata di uno o più medici». In queste situazioni «l’ascolto senza condizioni è fondamentale, senza che le persone si sentano impegnate poi a trattare e negoziare con l’avversario. Perché la parola “mediazione” evoca un invito ad adattarsi ad un compromesso considerato intollerabile vista la perdita di una vita».I percorsi di Me.Dia.Re sono come primo passo l’ascolto, e solo poi ed eventualmente come mediazione vera e propria. I sei servizi gestiti dall’associazione sono a Torino, Collegno, Verbania e Milano. Qui le persone trovano un «territorio neutrale» uno «spazio confidenziale in cui raccontare la propria storia».

Spesso già varcare la sede dell’associazione, raccontare il dolore e il disagio, vuol dire iniziare un percorso di soluzione. «Questa impostazione è uno dei fattori che spiegano quante persone vengono da noi - sottolinea Quattroccolo -, ed è sempre l’ascolto lo strumento centrale di risposta alle situazioni di disagio e solitudine, di dolore e angoscia che attraversano la vita delle persone».

Antonella Mariotti

www.lastampa.it
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