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Ricercatore iraniano dell'Università del Piemonte Orientale arrestato e condannato a morte. L'assessore regionale alla Sanità: "Liberatelo"

Ultimo Aggiornamento: 12/02/2017 09:21
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04/02/2017 01:55

Ahmadreza Djalali, medico di 45 anni, tra il 2012 e il 2015 ha studiato e lavorato al Crimedim di Novara. Da aprile è in carcere in Iran

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Incarcerato da mesi in Iran, condannato a morte, per Ahmadreza Djalali, medico iraniano di 45 anni, si muove anche la Regione Piemonte. Il ricercatore iraniano per quattro anni ha lavorato e studiato all’Università del Piemonte Orientale, collaborando dal 2012 al 2015 con il Crimedim, il Centro di ricerca in medicina di emergenza e delle catastrofi, con sede a Novara. Arrestato ad aprile a Teheran, dove si era recato per una conferenza, è stato incarcerato e ora, stando a quanto comunica la famiglia, condannato a morte. Alle richieste d’aiuto della moglie, che vive a Stoccolma con i due figli, aveva risposto anche l’Università del Piemonte Orientale, rilanciando la raccolta fondi per sostenere le spese legali della famiglia.

Ora che è arrivata la notizia della condanna, con l’accusa di aver svolto attività di spionaggio, interviene anche la Regione Piemonte: «Non possiamo rimanere insensibili di fronte alla vicenda del dottor Djalali, un professionista che per anni ha lavorato per la sanità piemontese, stimato e apprezzato da tutti i colleghi – sottolinea l’assessore regionale alla Sanità Antonio Saitta -. Come Regione Piemonte chiediamo quindi l’immediata revoca della sua condanna e la sua scarcerazione e sollecitiamo il Governo e l’Unione europea a intervenire presso le autorità iraniane».

Dopo il dottorato di ricerca al Karolinska Institutet di Stoccolma, per quattro anni ha lavorato a Novara, per poi continuare la sua attività accademica in Europa. «Le autorità iraniane - segnala la Regione Piemonte - lo accusano di essere una spia. La sua unica colpa accertata è quella di aver collaborato all’estero con ricercatori italiani, israeliani, svedesi, americani e del Medio Oriente, per migliorare le capacità operative degli ospedali di quei paesi che soffrono la povertà e sono flagellati da guerre e disastri naturali, assicurano i medici che hanno lavorato con lui e che adesso hanno lanciato un appello per ottenere la sua liberazione, a cominciare da Roberta Petrino, presidente dell’Eusem, la European society for emergency medicine, nonché presidente regionale del Simeu».

Non era la prima volta che Djalali tornava in Iran, il suo Paese d’origine: l’ultimo viaggio ad aprile del 2016 , quando è stato arrestato e, secondo quanto raccontato dalla famiglia, tenuto in isolamento nella prigione di Evin, a Teheran. Quando è venuto a conoscenza delle accuse ha iniziato uno sciopero della fame, ma senza risultato. «È anzi stato obbligato a firmare una confessione di colpevolezza» precisa la Regione.

Barbara Cottavoz

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08/02/2017 18:24

Sul fatto che possa essere una spia, considerando il caso Regeni, si potrebbe discutere molto, avvalorando o meno questa ipotesi, ma l'idea della condanna a morte è davvero stupida, visto che finirà col creare il solito caso internazionale con una risonanza inaudita. In questi Paesi di forte matrice islamica, in cui la legge coranica è prassi, bisogna prestare molta attenzione, mi auguro che ci sia mobilitazione, anche se non mi illudo, visti i precedenti...
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12/02/2017 08:14

Eh già, queste vaccatine che l'Iran mette a morte intellettuali mica le dicono in TV, bisogna per forza sparlare sull'ultima nazistata di Trump.
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Post: 29
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12/02/2017 09:21

La gente vuole le notizie che fanno più clamore, a prescindere dalla loro importanza, nessuno batterebbe un ciglio per un intellettuale iraniano che ha collaborato con svariati ambienti universitari, ahimè...
[Modificato da 36" 12/02/2017 09:21]
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