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Intercettazioni col trojan, parziale sì della Cassazione

Ultimo Aggiornamento: 30/04/2016 15:32
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30/04/2016 15:32

Via libera della Corte a intercettazioni ambientali via captatore informatico per reati di criminalità organizzata e terrorismo

Non è esattamente uno sdoganamento, ma come tale potrebbe essere interpretato. Ieri le sezioni unite della Cassazione hanno dato un via libera, per quanto circoscritto a un preciso ambito di utilizzo, all’uso di trojan (o captatori informatici) su dispositivi portatili - come pc, tablet e cellulari. Il caso specifico riguardava la realizzazione di intercettazioni ambientali tra presenti senza dover indicare preventivamente i luoghi - e quindi anche all’interno di dimore private, anche se lì non si sta commettendo un’attività criminosa. Tuttavia la deroga rispetto alle garanzie previste dalla legge italiana riguarderebbe solo procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata, anche terroristica, inclusa l’associazione per delinquere (ed escluso il mero concorso di persone nel reato).

La decisione della Corte non stupisce molto gli addetti ai lavori, perché di fatto estende ai trojan una deroga, rispetto al divieto di intercettare nei luoghi di «privata dimora» (salvo si stia consumando un reato), già prevista dal decreto antimafia del 1991 (n.152). Nello stesso tempo, la sentenza sancisce di fatto un via libera a uno specifico utilizzo di questi software spia che per anni sono stati impiegati in Italia in molte indagini, mantenendo un basso profilo, in una situazione di incertezza giuridica e vuoto legislativo, come avevamo descritto in questo precedente articolo.

Un limbo che per anni non ha tenuto particolarmente conto della specificità tecnica, potenza e invasività di strumenti che sono in grado di prendere il controllo completo di un computer o uno smartphone, oltre che di accedere all’intera vita digitale dei suoi possessori.

«L’esito era prevedibile, perché il problema affrontato dalla Cassazione sembra essere solo in relazione a intercettazioni ambientali e al limite del domicilio fisico, ma poiché nel caso in questione si trattava di mafia, sappiamo già che dal 1991 quel limite non c’è più per quei reati» , commenta alla Stampa l’avvocato penalista e fellow del Centro Nexa su Internet & Società, Carlo Blengino. Che, da questo punto di vista, parla di quesito mal posto.

Anche per l’avvocato penalista e docente di informatica e diritto Stefano Aterno la sentenza chiaramente non affronta altre questioni legate ai trojan, come il loro utilizzo quale mezzo di ricerca atipico della prova o come intercettazione telematica. Tuttavia, «lo stesso procuratore generale ha fatto presente sia l’invasività dei trojan, e altri problemi quali l’alterabilità dei dati, sia le attuali lacune legislative». E da questo punto di vista sarà interessante vedere se ci saranno degli accenni al riguardo nelle motivazioni della sentenza.

Secondo l’avvocato Francesco Micozzi, che da tempo si occupa della questione “trojan di Stato”, la sentenza non va a toccare i dubbi sul captatore come strumento in sé, «ma sembra intenderlo qua solo come una modalità tecnica per fare intercettazioni ambientali».

Una prima conseguenza del pronunciamento della Corte potrebbe essere comunque un’accelerazione sulle proposte legislative in materia. Dopo i precedenti tentativi del governo di regolamentare i captatori - abortiti perché tentavano di dare un via libera generalizzato a questi strumenti - ora potrebbero emergere nuovi progetti di legge. In prima fila quello presentato nei giorni scorsi dal deputato del Gruppo Misto Stefano Quintarelli, che su La Stampa aveva parlato della necessità di rendere i trojan anche tecnicamente compatibili con le garanzie costituzionali. Sia da un punto di vista politico che tecnico, non sarà una impresa facile.

Carola Frediani

www.lastampa.it
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