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È giusto mettere in rete le foto dei figli?

Ultimo Aggiornamento: 21/01/2018 22:11
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22/09/2014 16:22

L’irresistibile tentazione dei bimbi sul web. L’esperto: «Così l’identità virtuale si forma prima di quella reale»

Nel 2008, mentre aspettava sua figlia, Chiara Cecilia Santamaria ha scattato una foto al pancione e l’ha postata online. Poi non ci ha più pensato. Due settimane fa ha scoperto che quell’immagine, a cui è stata aggiunta una scritta in inglese (un innocuo invito ad avere «una gravidanza sana»), è diventata virale ed stata replicata a sua insaputa centinaia di volte su Tumblr, uno dei social network più popolari tra gli adolescenti. «È uno dei motivi per i quali non pòsto mai scatti in cui mia figlia sia riconoscibile: cosa sarebbe successo se quella fosse stata una sua foto? Magari inserita in un contesto poco piacevole?», chiede. Santamaria è una blogger e una scrittrice molto conosciuta in Rete: il suo diario online sulla maternità machedavvero.it è uno dei più cliccati sul tema. Ma la sua domanda vale per tutte le mamme (e i papà) che abbiano un qualsiasi profilo su uno dei tanti social network che usiamo ogni giorno. È giusto pubblicare le foto dei propri figli?

C’è chi sembra farsi pochi problemi, soprattutto tra i genitori famosi: i profili Instagram (il più noto sito di condivisione immagini) di Sarah Jessica Parker o Shakira, tanto per fare qualche esempio, sono piene delle foto dei rispettivi pargoli. Lo stesso vale per la showgirl nostrana Belén Rodriguez, che litiga spesso con i paparazzi, ma riempie Instagram di selfie con il figlio. Altri sono più accorti: la conduttrice tv Alessia Marcuzzi fotografa volentieri le figlie, ma gli scatti pubblicati online non mostrano mai il loro viso. La scrittrice e conduttrice Selvaggia Lucarelli usa ancora un altro approccio: «Pòsto ogni tanto qualche immagine di mio figlio Leon, che ha nove anni, ma solo dopo avergli chiesto il permesso: lui è molto lucido su questo, è il primo che mi chiede di rispettare la sua privacy. Basta usare un po’ di buon senso», assicura.

Barbara Volpi, psicologa e autrice di Gli adolescenti e la Rete (Carocci), è convinta che la «genitorialità digitale» richieda moltissima prudenza: «È meglio non pubblicare — consiglia —. Uno dei rischi più ovvi è che queste foto possano essere modificate e inserite in siti pedopornografici: purtroppo succede», spiega. Spesso inoltre le immagini che pubblichiamo contengono molte più informazioni di quanto siamo consapevoli. È il caso della geolocalizzazione di Twitter, Facebook e Instagram, la funzione che registra le coordinate geografiche dei contenuti condivisi.

Un professore dell’Università della Florida, Owen Mundy, si è divertito a mostrare come funziona con una provocazione: il sito I Know Where Your Cat Lives, «so dove vive il tuo gatto». Owen ha creato un algoritmo che analizza gli scatti pubblici sui social network categorizzati sotto la parola «gatto» (almeno 15 milioni nelle diverse lingue), legge le loro coordinate geografiche e le segnala su una cartina. Per l’Italia, sito individua l’indirizzo di circa quattromila gatti solo a Roma, 10.837 in Lombardia, 52.766 in tutta la Penisola. Se andate a vedere forse c’è anche il vostro. Pensare che al posto dei felini si possano localizzare dei bimbi fa venire i brividi. Il problema su Facebook si può evitare selezionando impostazioni di privacy più strette, che per esempio rendano le foto visibili solo agli «amici».

Ma c’è un altro piano da tenere in considerazione. Spiega ancora Cecilia Santamaria: «Non so come saranno le cose sul web tra cinque o dieci anni: vorrei lasciare a mia figlia, quando sarà cresciuta, il privilegio di scegliere cosa fare della sua immagine e della sua privacy online». È una preoccupazione più che giustificata. «Queste foto rimarranno in Rete e quando i bambini di oggi saranno cresciuti ci saranno software di riconoscimento facciale che le ricollegheranno in automatico ai loro profili social — concorda Giuseppe Riva, professore di Psicologia dei nuovi media alla Cattolica di Milano —. I genitori che postano le foto dei figli su Facebook, o ancora peggio creano dei profili ai bambini pubblicando a loro nome, creano un’identità digitale che li precede.

Quando quei bimbi, da adolescenti, arriveranno online si troveranno una storia che non hanno scelto». A quell’età non è poca cosa: «Il tema dell’identità è fondamentale per gli adolescenti, che devono scoprire chi sono. Sappiamo che nelle relazioni a tu per tu hanno bisogno di staccarsi dai genitori — avverte Riva —. Ma cosa può succedere se i rapporti si polarizzano online?». Prepariamoci alle ribellioni adolescenziali digitali.

Elena Tebano

27esimaora.corriere.it
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